ACIREALE, FESTIVAL DEL TEATRO SCOLASTICO. La storia di Matilde

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RECENSIONI ED EVENTI

TEATRO

A cura di Antonino Leotta

Un itinerario possibile, ai nostri giorni, quello di MATILDE. Perché la società in cui siamo immersi e in cui la nuova generazione muove i suoi passi, non mostra di avere interesse per la sua presenza.
Matilde si accorge, anzitutto, dell’indifferenza totale che la circonda. Uno Stato che non si preoccupa tanto del suo presente e del suo futuro: “che non le dà speranza che possa cambiare qualcosa”. E la gente che ha tanti altri interessi e che si manifesta spesso carica di pregiudizi. Sì, perché il pregiudizio è un male perverso molto diffuso: non importa quello che sei con tutte le possibilità di crescita che racchiudi in te, ma si va a scavare nei tuoi limiti, nella condizione sociale, nella vita dei tuoi genitori e dei tuoi parenti, nel tuo modo di pensare…

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E tutto, attorno a Matilde, permane insensibile. Anche se Matilde è in possesso di una forte volontà di farsi conoscere ed ha delle doti e delle qualità che meritano di essere prese in considerazione. Anche se ha la capacità di fondare e di far crescere una sua personalità.
Rinchiusa in questa situazione Matilde si lascia invadere dall’odio che scarica sul suo gatto. Lo elimina e, poi, decide di.. suicidarsi.
Si tratta di un brutto sogno e, nel risveglio, prende vita la forza di una coscienza che aiuta a discernere.
Il linguaggio delle immagini e dei gesti è l’anima dello spettacolo “SETE” presentato dalle ragazze dell’ERIS, la Scuola di Formazione che ha sede in Acireale, alla 7^ edizione del “Festival del Teatro Scolastico”. Questo aspetto di lettura ce lo ha anche suggerito il regista Alosha Giuseppe Marino che ha ideato l’opera.

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Una grande scatola che domina la scena sembra rappresentare un grosso peso che grava sulla vita di Matilde. Quel peso, tuttavia, riesce a trasformarsi come in una cassa di risonanza. E diventare la voce della coscienza. Che parla. E, attraverso l’espressione dinamica di una mano che emerge dal grande cubo, rielabora la vicenda. La racconta. La giudica. La indirizza.
E, a proposito di sguardo interiore e di coscienza, risulta molto significativa la “danza della doppia dimensione”: le ragazze in scena si muovono orientando dei lunghi bastoni ora in direzione orizzontale ed ora in direzione verticale. Il sublime canto di Franco Battiato accompagna i ritmi della loro azione:
“La linea orizzontale ci spinge verso la materia
Quella verticale verso lo spirito”
Si tratta dell’uso de“l’occhiointeriore” (inneres auge) che, secondo la spiritualità tibetana, aiuta a scoprire l’essenza della persona umana. Che è chiamata a confrontarsi con tutto quello che esiste attorno e, in definitiva, a puntare verso l’alto, nella dimensione che porta a Dio.

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Il canto di Battiato è chiaro:
Con le palpebre chiuse
S’intravede un chiarore
Che con il tempo, e ci vuole pazienza,
Si apre allo sguardo interiore…
A rappresentare sulla scena questa sequenza meditativa sei ragazze:
“La coscienza”:
Beatrice Cannizzaro
Noemi Spoto
Maria Cavallaro
Savina Hyseney
“Il gatto”: Laura Arcifa
“Matilde”: Tamara Montaudo
Come al solito, il dialogo finale tra spettatori e attori -che ha visto anche la viva partecipazione dell’Assessore Dott.ssa Valentina Pulvirenti- ha unito strettamente il palco e la sala per uno scambio di pensieri, di vedute, di considerazioni, di suggestioni.
La scommessa delle ragazze che hanno affrontato la scena lascia trasparire, ancora una volta, i… miracoli di un impegno teatrale.

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