ACIREALE, E20. PRESENTATO AL PALAZZO DI CITTÀ “PIETRE SANTE”

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RECENSIONI ED EVENTI

A cura di Caterina La Rosa

Si è svolta nei giorni scorsi ad Acireale, nella bellissima cornice del Palazzo di Città, la presentazione del libro di Marcello Proietto: “Pietre Sante, le figlie dell’Etna”.

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L’evento, sostenuto dal Comune di Acireale, rientrante nel programma E20 dedicato al mese della cultura, è nato grazie all’organizzazione della Fidapa e del Kiwanis che hanno lavorato in sinergia.
Dopo l’introduzione della giornalista e scrittrice Maria Cristina Torrisi ed i saluti delle presidenti dei rispettivi club service Vera Petralia e Ada Nunzia Coniglione, ha preso la parola l’architetto Salvatore Greco.

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Numerosi i personaggi del romanzo che sono stati descritti con un’analisi attenta e dettagliata, tutti rappresentanti di una Sicilia variopinta dove i nomi propri lasciano il posto ai bizzarri soprannomi che li contraddistinguono rendendoli familiari alla comunità. Così come in una processione vediamo sfilare in ordine sparso le “Pietre sante”, giovani donne immobili, come pietre, davanti la ferrea volontà del padre padrone, Don Cirino, ” ‘u scapparu” e poi le “Larie”, condannate allo zitellaggio, e poi ancora una miriade di personaggi che la penna sapiente dell’autore e i ricordi di un’infanzia lontana, ma sempre presente nella sua memoria, hanno portato alla ribalta.

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Il pubblico, attento e partecipe, si è visto catapultare nella Sicilia degli anni Trenta dove la religiosità e la superstizione guidavano la vita delle persone e, tra un Ave Maria e uno scongiuro, la piccola comunità di Bongiardo regolava la propria esistenza. Sullo sfondo, la politica dell’epoca e il Fascismo che incalzava e accendeva gli animi dei giovani patrioti.
Personaggi felliniani, a metà tra l’umanità e la caricatura, popolano questo microcosmo che il nostro autore, archivista e bibliotecario presso l’Istituto europeo di design e docente di archivistica presso l’Accademia di Belle Arti di Como, ha saputo tratteggiare e riportare in vita col suo romanzo. Una realtà che molti di noi hanno riconosciuto per averla vissuta nella nostra infanzia tra donne che trascorrevano il loro tempo tra la cucina e la chiesa, tra una sfornata di biscotti e un rosario o lavorando all’uncinetto dove si intrecciavano, con antica sapienza, fili e parole. Ma perché un diligente archivista, attento a catalogare l’immenso materiale di una biblioteca, decide di scrivere un romanzo? Questa, tra le altre pertinenti, è la domanda che l’intervistatrice, la giornalista Cristina Torrisi, gli ha posto durante il dialogo che è seguito alla relazione.

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“Tutto nasce dai racconti della nonna materna e della madre, nativa di Bongiardo – le risponde l’autore che non nasconde la sua emozione – e dalle numerose foto in bianco e nero che ritraggono personaggi della sua famiglia”.
Le immagini che suggeriscono storie e la fantasia che le gestisce hanno fatto il resto. Nascono così i personaggi, in parte inventati, che popolano il suo romanzo d’esordio.
E non solo. L’ idea di scriverlo, in piena pandemia Covid, è stata dettata anche dal desiderio di rendere un omaggio alla madre. Che quelle storie gliele raccontava con la tenerezza con cui si racconta una favola e la solennità di chi fa riemergere il passato.
Qualcuno ha detto che quando si leggono i versi di un poeta lo si fa rivivere in quei pochi attimi della lettura e, allo stesso modo, quando si descrivono gli usi e costumi di un tempo riaffiorano i ricordi e si ha la sensazione di venire catapultati in quell’epoca dove i comportamenti erano dettati dalle rigide regole sociali e familiari, e dove la comunicazione aveva un suono e una voce e non la fredda immagine di un’icona sullo schermo del pc. Una epoca in cui le donne, benché sottomesse alla volontà del padre e del marito, avevano un ruolo essenziale negli equilibri familiari e dove il lavoro dei campi richiedeva sacrificio e fatica.
Tempi difficili, certamente, ma sostenuti da sentimenti autentici e da stretti legami familiari e soprattutto da una lealtà genuina che faceva sì che gli accordi si sigillavano con una stretta di mano e non in presenza di un notaio. Un’umanità lontana anni luce dell’epoca attuale, tecnologica e digitalizzata, dove le mani non affondano nella terra a volte ricca e a volte avara, ma si agitano sui tasti di un computer… progresso o regresso? Non saprei definirlo ma certamente ogni generazione guadagna qualcosa in più rispetto a quella precedente ma perde irrimediabilmente dei valori fondamentali. A questo proposito l’intervistatrice, Cristina Torrisi, ha chiesto all’autore quanto è forte per lui il legame con la sua terra considerato il fatto che Marcello Proietto vive da anni a Milano e la nostalgia a volte bussa alla porta. La risposta non poteva che essere quella che il pubblico si aspettava: “questo romanzo rappresenta un omaggio alla Sicilia, questa Isola magica che ogni siciliano porta nel cuore dovunque il destino lo conduca”. Non a caso i meridionali, che all’inizio del secolo emigravano in cerca di fortuna, venivano definiti “terroni”, poiché oltre al riferimento a una realtà prettamente agricola questi si portavano dietro nel loro valigie di cartone un barattolo con un po’ di terra per avere un conforto e l’illusione di un pezzo di Sicilia che viaggiava con loro.

Grazie all’autore, alla sua ricerca storica, leggendolo, ci caliamo in una realtà che continua ad appartenerci seppur relegata nella nostra memoria, ma che ci caratterizza e farà sempre parte del nostro vissuto.

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La presentazione ha visto anche gli interventi dall’assessore alla Cultura e al Turismo l’avvocato Enzo Di Mauro, che ha sottolineato l’importanza della cultura, come motore di sviluppo del territorio, e della consigliera comunale Teresa Pizzo, che ha dato qualche breve cenno sulla trama del libro. Si è conclusa con l’intervento dell’editore Alfio Grasso, il quale ha evidenziato il valore storico letterario dell’opera.