RECENSIONI/CINEMA
L’INTERVISTA DI MARIA CRISTINA TORRISI
Dopo tanta attesa, è stato proiettato nei giorni scorsi al bar dei Miracoli di Catania il corto “A petto nudo” Bare-Chested, “premio della London South Bank University per il miglior cortometraggio 2023, assegnato dal BFI Network”.
Nel cast: Giulio Lo Certo, Margo Casaburi, Luca Lisi, Letizia Gori, Anthony Foti, Sara Platania, Lele Russo, Alessia Maggi.
Un lavoro egregio che affronta una tematica di grande attualità, denunciando, attraverso un racconto di vita realmente vissuta, i “mali dell’anima”. Quei mali che privano l’essere umano di una propria identità quando ci si ritrova “prigionieri” in un corpo che non ci appartiene. Eppure, il bisogno di amare e di amarsi è insito nell’essere umano e non può prescindere dal riconoscerci in primis come creature aventi il diritto alla libertà e alla consapevolezza della scelta.
Questo diritto, in una società spesso sorda e giudicante, richiede Coraggio. A Francesco (nome adattato nel film), 21 anni, protagonista principale, il compito di raccontare la sua storia con quella “qualità dell’animo” che permette di affrontare le difficoltà della vita.
Nata femmina in un corpo che non gli appartiene, Francesco desidera la trasformazione. Determinato ad intraprendere questa strada, inizia il suo difficile percorso, raccontato nel corto “A petto nudo” che ha il pregio di trasmettere il valore del coraggio ma anche della speranza.
Ospiti di Nuove Edizioni Bohémien, il protagonista del film Giulio Lo Certo e la regista, che ha inoltre scritto e prodotto il corto, Monica Platania. Con loro ho realizzato le interviste.
Giulio (nel film Francesco) è un ragazzo dolce, cordiale, disponibile al dialogo. Ha 21 anni e, nonostante la giovane età, le idee chiare sul suo percorso di vita.
1 Giulio, come ci si sente quando si nasce in un corpo che ti tiene prigioniero, che non ti fa sentire come la tua anima vorrebbe. Quanta difficoltà nella vita reale e quanta nel trasportare il tuo vissuto in un corto.
-Il fatto di nascere “nel corpo sbagliato” è un grande disagio; è una prigionia perché tu senti di essere qualcosa che però il corpo non rispecchia. Ricordo che, quando uscivo dalla doccia, schivavo lo specchio per evitare di guardarmi in quanto non mi accettavo. Oltre a vivere un problema serio con me stesso, avvertivo un grande disagio nei confronti della società. Prima di iniziare la terapia ormonale, avevo una voce femminile. Ciò mi portava a non parlare con le persone; quando ero in gruppo stavo zitto perché mi vergognavo della mia voce… Pian piano, con la terapia ormonale – che ho iniziato un anno e mezzo fa – il mio corpo ha iniziato a prendere una forma, la voce si è abbassata. Insomma, la mia mente ed il mio corpo si sono rappacificati. Ovviamente ancora vi sono delle incongruenze però si sistemeranno anche quelle.
2 Questa necessità di riappropriarti del tuo corpo? L’hai avvertita sin da piccolo oppure l’hai maturata crescendo? Cosa hai avvertito dentro di te?
-Io in realtà quando ero piccolo mi sentivo un maschio. Per il Carnevale, mi vestivo da Principe, da Zorro o da Capitan Uncino. I miei genitori erano rassegnati al fatto che i vestiti me li dovevano comprare nel reparto maschile perché non volevo indossare quelli femminili. Avevo cinque, sei anni. E, avendo i capelli corti, quando mi chiedevano: “Sei maschio o femmina?” rispondevo sempre “maschio”. Nell’età della pubertà, ho visto il mio corpo mutare anche con la crescita del seno. Questa cosa non mi è andata più bene perché io mi sentivo maschio e non accettavo quel cambiamento. Durante la pandemia, mi sono ritrovato obbligato a stare a casa e mi sono ritrovato a fare i conti con me stesso e, facendo delle ricerche, ho scoperto il mondo della transessualità.
3 Oggi sei in una fase di transizione. Quando completerai questo percorso?
-In verità gli ormoni li dovrò prendere a vita perché il corpo da solo non produce il testosterone. Considererò poi di concludere la mia transizione una volta che mi opererò di mastectomia.
Ringrazio Giulio che ha aperto il suo cuore a me con fiducia e stima.
Un’altra intervista è quella realizzata alla regista, che è la ragazza di Giulio. Lei è una ragazza esuberante, frizzante, piena di vita. Ringrazio anche lei per aver aperto il suo cuore.
1 Monica, tu ti sei dedicata alla regia di questo corto che ha richiesto 4 giorni di riprese e 2 mesi di lavoro per il montaggio, nel complesso funzionante di colore, suono e musica originale, composta da Luigi Donzella. Come è nato il progetto?
-E’ nato dal fatto che io e Giulio cercavamo un film da vedere su una piattaforma streaming che trattasse la tematica e che lo supportasse in questa transizione. Tutti i film che trovavamo erano abbastanza tragici. Questi protagonisti o morivano, o venivano cacciati di casa, o venivano picchiati. Non trovavamo niente di positivo. Sapevamo che il percorso non sarebbe stato facile ma comunque desideravamo un finale un po’ speranzoso. Quindi abbiamo detto: “Dobbiamo pensarci noi!”. Lui all’inizio non era incluso ma, facendo io scuola di cinema, si è reso successivamente disponibile al progetto. Io ho usato il cortometraggio di laurea per raccontare la sua storia; infatti il film è una fetta di vita. Ho visto il suo cammino da prima della transizione, quando ancora si faceva chiamare col suo vecchio nome, attraverso il percorso psicologico, poi medico e poi legale.
2 Come ti sei innamorata di Lui?
-Ci siamo conosciuti a scuola, al liceo. Lui era prima la mia ragazza (a me piacciono sia le ragazze che i ragazzi), siamo stati insieme da piccoli; io avevo 17 anni e lui 15. Poi non siamo stati sempre insieme perché io sono andata a Londra; lì sono cresciuta. Però ci siamo riavvicinati crescendo. Qualche mese dopo in cui ci siamo ritrovati, lui mi ha confidato questo suo disagio ed è iniziato tutto da questa frase che gli ho detto: “Magari smetto di chiamarti Giulia e ti chiamo Giù e basta, che non dà un genere”.
3 La menzione per il Premio ricevuto
-Abbiamo vinto il Premio non soltanto per la tecnica, ma soprattutto per la tematica della diversità perché nessuno ne parla.
4 La diversità fa ancora oggi paura.
-Ancora sì. Ma è soltanto questione di essere se stessi e soprattutto di amare incondizionatamente.
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