Pasta “Vampasciuscia”: la squisita e “regale” specialità siciliana che sparisce in un battito d’ali

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IL RICETTARIO 

“La cucina di un popolo è la sola, esatta testimonianza della sua civiltà e della sua storia”

A cura di Franco Di Guardo

Il nome di questa tradizionale ricetta siciliana incuriosisce già dal termine stesso, in realtà si riferisce a uno specifico formato di pasta, che per il suo bordo ondulato viene paragonato alle ali delle farfalle. Infatti, il termine dialettale “Vampasciuscia”, caduto oramai in disuso da molti anni, per i palermitani specialmente, era sinonimo di farfalle, soprattutto perché questo piatto è talmente godereccio e gustoso che sembra quasi di ”volare in pancia”, o in realtà, dopo averlo assaggiato, viene il desiderio di mangiarne ancora, oseremo dire una prelibatezza culinaria siciliana che finisce in un “batter d’ali”.

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Questo formato di pasta ha origini antichissime, ed è fatto di; farina di semola di grano duro e acqua. Si presenta di spessore sottile e di forma allungata, piatta al centro e arricciata ai bordi, come a volere imitare il merletto o la piccola fettuccia riccia ondulata degli abiti, da qui il nome di “Fettuccelle ricce”. In alcune fonti storiche si legge che intorno al 1257, per omaggiare Re Manfredi di Svevia, la pasta fu chiamata Manfredi o Manfredini. Si narra infatti che, il nuovo Re di Sicilia trovandosi in guerra contro il Papato, arrivò nella regione del Sannio (parte dell’attuale Campania) dove decise di accamparsi, e proprio lì fu accolto dai cittadini con un piatto di “Fettuccelle” condite con il suo formaggio preferito: la gustosa “ricotta fresca” di latte di capra o forse di bufala. Il Re gradì talmente tanto l’idea originale, che volle questo formato di pasta come ricetta simbolo per la domenica e nei giorni di festa, come tutt’ora è tradizione fare soprattutto nel sud Italia. Con l’avvento del pomodoro, quindi nella seconda metà del settecento, la si preferì condirla o con la semplice salsa, oppure con il famoso e ricco “ragù di carne o sugo alla napoletana”. Anni dopo i cuochi partenopei ebbero l’intuito di unire entrambi i condimenti, la ricotta fresca si fuse con il gustoso ragù alla napoletana, quindi, il medioevo si fuse con l’età moderna e fu un connubio perfetto! Il sugo divenne delicato e dolce, e assunse il colore rosa antico, che amalgamato con la pasta Manfredi, ne faceva esaltare ancora di più il sapore e divenne il condimento “principe” di questa “pasta regale” tutta partenopea. I veri buongustai affermano che; questo particolare formato di pasta, anche dopo la cottura, la sua arricciatura laterale resta ben tratteggiata, così da trattenere ed esaltarne il condimento e il gusto del sugo. Tuttavia, con l’avvento del Regno d’Italia, la pasta cambia nome, e in particolare in Sicilia venne ribattezzata Margherita, in onore della prima Regina d’Italia, anche perché il formato di pasta ricordava i bellissimi merletti della sovrana. Successivamente per omaggiare le Regine e le Principesse della Real Casa di Savoia, furono nuovamente ribattezzate come, Reginette, Reginelle, Mafalde, Margherite e Jolanda. La ricetta della “Vampasciuscia” mi è stata data dalla cara amica Rosangela Conigliaro, palermitana doc, lei stessa racconta che, da bambina a cucinare questa specialità era la sua cara nonna Rosalia, brava massaia palermitana, la quale cucinava la pasta Margherita e la condiva con il ricco ragù o sugo di carne di maiale, realizzato con le salsicce e che le serviva a tavola con sopra le chenelle di ricotta fresca. Pare che per tradizione, la ricetta della pasta “Vampasciuscia” veniva preparata durante il Carnevale, periodo ricco di feste e balli e di grandi mangiate in famiglia. In Sicilia, esistono varie ricette con questo formato di pasta, a Messina per esempio, “Vampasciuscia” condita con il sugo delle sarde a beccafico, mentre a Catania veniva preparata o con il sugo, salsicce e ricotta, o con alici e piselli freschi. A Trapani invece, Margherita al ragù siciliano, invece a Mazzara del Vallo, pasta Jolanda condita con il pomodoro fresco alla carrettiera, e sempre nel trapanese, con il sugo di tonno al pomodoro o semplicemente saltati con aglio, olio d’oliva, peperoncino e la bottarga grattugiata sopra. A Enna invece è conosciuta come “Vampasciuscia” all’ennese o “Sciabbò”. A Palermo, Margherita alla “Milanisa” o “Arriminata”. A Modica, come a Palermo, è conosciuta come pasta cacata, ma questa e tutta un’altra ricetta e storia da scrivere e raccontare.

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Tutt’oggi in alcune zone della Sicilia, la pasta Manfredi, Vampasciuscia, Margherita o Reginette, viene gustata solo con la ricotta fresca, come da tradizione. Alcune di queste ricette sono presenti nel volume, La Pasta e i Savoia edito da Algra Editore.